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La deduzione della gru

Claude Lévi-Strauss

 

“La deduzione della gru” ("The Deduction of the Crane"), apparso originariamente in P. Maranda and E. Köngäs Maranda eds., Structural Analysis of Oral Tradition, Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1971: 3-21, è un estratto abbreviato e modificato di alcune pagine del secondo volume delle Mitologiche (Lévi-Strauss 1967, tr. it.: 229-265). La traduzione italiana, a cura di M. Del Ninno, è apparsa la prima volta in Quaderni di antropologia e semiotica, 6, 1990.

 

 

Il pensiero mitico si fonda sull'applicazione regolare di certe procedure logiche, che è compito primario dell'analisi scoprire e denominare. Due di tali procedure, che possiamo chiamare deduzione empirica e deduzione trascendentale, ricorrono con particolare frequenza e l'analisi qui contenuta ha lo scopo di illustrarne il funzionamento.

Si ha deduzione empirica, quando un mito attribuisce una funzione, un valore o un significato simbolico a un essere naturale sulla base di un giudizio empirico che associ in modo duraturo l'essere con l'attribuzione. Da un punto di vista formale l'esattezza del giudizio empirico è irrilevante. Così entrambe le seguenti associazioni derivano ugualmente da deduzioni empiriche, anche se la prima riflessione si fonda su un'osservazione corretta, mentre la seconda è puramente immaginaria.

1) Un'associazione basata sull'osservazione corretta risulta dal legame che di frequente i miti instaurano tra il mondo medio e uccelli, quali il picchio, che trascorrono molto del loro tempo sul tronco degli alberi, cioè tra l'alto e il basso.

2) Un'associazione immaginaria, invece, risulta dall'attribuzione di poteri curativi contro il morso del serpente e la carie del dente a certi semi che hanno la forma di zanne.

Per estensione, possiamo anche usare il termine "deduzione empirica" ogni volta che il mito attribuisce a una creatura naturale proprietà inverse a quelle suggerite da una esatta o inesatta osservazione, purché la situazione totale del mito sia anch'essa l'inverso di quella in cui l'osservazione potrebbe essere fatta. Per esempio, gli Indiani dell'America tropicale credono che gli uomini e i giaguari si nutrano della stessa selvaggina e che la differenza tra le due specie consista nel fatto che gli uni cuociono la loro carne mentre gli altri la mangia­no cruda. Ora, se un mito si riferisce al tempo in cui gli uomini non avevano ancora il fuoco e quindi mangiavano carne cruda, si può legittimamente concludere, estendendo la deduzione empirica, che in quel tempo fossero i giaguari ad avere il fuoco e a cucinare la selvag­gina, poiché la deduzione empirica diretta attesta l'esistenza di un tratto distintivo nelle abitudini alimentari degli uomini e dei felini della giungla.

Cos'è invece la deduzione trascendentale? Non necessariamente essa riposa su una base empirica vera o falsa, diretta o indiretta e, più che dall'attribuzione di certe proprietà a un dato essere, deriva dalla consapevolezza di una necessità logica, quella di attribuire certe proprietà ad un dato essere perché la deduzione empirica ha in pre­cedenza connesso questo essere con altri sulla base di un insieme di proprietà correlative.

Ecco un esempio. Secondo la deduzione empirica, la rana gioca il ruolo di creatrice o d’annunciatrice della pioggia. Gli indiani dell’­America tropicale attribuiscono questo ruolo principalmente alla rana arboricola: la cunauaru dei Tupi e Carib (Ila venulosa) che, dico­no, emette il suo grido quando sta per piovere. Questa rana ha alcu­ne abitudini particolari. Vive nella cavità degli alberi dove l'acqua permane per lunghi periodi e in questa acqua colloca, parzialmente sommerse, le celle coniche che modella con la resina e in cui depone le uova.

Questo fatto e la continua applicazione della deduzione empirica diretta portano il pensiero mitico sudamericano a concepire una rela­zione di correlazione e di opposizione tra la rana cunauaru e le spe­cie di api della famiglia Meliponidae che fanno il nido in un tronco cavo asciutto e modellano le celle per l'allevamento delle larve con cera mescolata a resina (e talvolta a fango), depositando il miele nelle loro case-albero. Certamente, le rane arboricole e le api si rassomi­gliano e si oppongono: nidificano in tronchi vuoti e costruiscono cel­le di resina o di una sostanza equivalente; ciò nonostante, le rane vivono con l'acqua (anche nel cuore della stagione secca) ma non hanno miele, mentre le api vivono con il miele accumulato (che non esiste in nessun altro posto) ma senza acqua. Le api sono anche più esplicitamente opposte all'acqua, poiché il pensiero indigeno associa il miele alla stagione secca, periodo in cui viene raccolto.

Fino ad ora abbiamo usato solo la deduzione empirica; ma per spiegare le successive associazioni di correlazione e di opposizione avremo bisogno di una nuova procedura. Per i Tupi settentrionali - Tembe e Tenetehara - i giaguari sono i primi possessori del miele e coloro che per primi l'hanno trasmesso agli uomini (Nimuendaju 1915: 294; Waggle-Ga­­­­­lvão 1949: 143-144). Gli indiani dell'Amazzonia credono che la rana sia la madre dei giaguari (Roth 1915: 133-135) o anche che possa trasformarsi in questo animale (Tastevin 1922: articolo "cunawaru").

Restringendo l'investigazione all'etnozoologia si potrebbe ritenere che queste credenze siano inesplicabili. La loro comprensione richiede che siano inserite in un complesso sistema di relazioni dove ogni singola asserzione esiste solo come un aspetto dell'intero.

Secondo la deduzione empirica diretta, la rana è la signora (attuale) dell'acqua e, secondo la deduzione empirica indiretta (invertita), il giaguaro è generalmente il signore del fuoco. Se la rana è opposta all'ape, che ha il miele invece di acqua (mentre la rana stessa ha acqua invece di miele), possiamo introdurre la deduzione trascendentale per concludere che il giaguaro (opposto alla rana dalla deduzione empirica) deve essere come l'ape e quindi possedere in qualche modo il miele.

Da questa deduzione deriva la sua posizione di signore del miele nei miti dei Tupi settentrionali. Ne deriva anche che il giaguaro e la rana devono formare (come fanno la rana e l'ape) una coppia di termini in opposizione e correlazione. Perciò essi sono trasformabili l'uno nell'altro; e l'identità mitica di Kunawaru-imö = "grande Cunauaru" data al giaguaro sovrannaturale dagli indiani Oayana (Goeje 1943: 48) sembra essere la prova incarnata di questa inferenza logica.

Proponiamo di applicare le idee e i principi metodologici ora definiti all'analisi comparativa di tre miti della Guiana.

 

[continua]


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