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"Mariti e mogli" e "Dalla nascita alla morte"

Due esempi della scrittura di Claude Lévi-Strauss, tratti da uno dei suoi primi testi: La vita familiare e sociale degli Indiani Nambikwara  (1948)



      Mariti e mogli*

 

*Il brano è tratto da La vita sociale e familiare degli Indiani Nambikwara (trad. it. di P. Caruso Torino: Einaudi, 1970, pp. 81-90).

 

 

Per capire bene l'atteggiamento reciproco dei due sessi, è indispensabile tener presente il carattere fondamentale della coppia fra i Nambikwara; essa è l'unità economica e psicolo­gica per eccellenza. Non solo fra queste bande erranti, che si compongono e si disfano di continuo, la coppia appare come la sola realtà stabile (almeno in teoria), ma è anche il solo fat­tore che permette di assicurare la sussistenza dei suoi mem­bri. I Nambikwara vivono sotto due economie: un'economia di cacciatori e di giardinieri, e, d'altra parte, un'economia di raccoglitori e di raccattatori. La prima è assicurata dall'uo­mo, la seconda dalla donna. Mentre il gruppo maschile parte a caccia per un'intera giornata, armato di archi e di frecce, o si reca a lavorare negli orti durante la stagione delle piogge, le donne, munite di bastone da scavo, errano con i bambini per la savana, e raccolgono, sradicano, ammazzano, cattura­no, afferrano tutto quello che lungo la loro strada è adatto a servire da nutrimento: semi, frutta, bacche, radici, tubercoli, uova, animaletti di ogni sorta. Alla fine della giornata, la coppia si riunisce intorno al fuoco. Quando il manioco è ma­turo, e finché ne rimane, l'uomo procura un fardello di radi­ci che la donna grattugia e spreme per farne focacce (uridno­su, a1), e quando la caccia è stata fruttuosa, si cuociono rapi­damente pezzi di selvaggina seppellendola fra le braci del fuoco familiare. Ma per sette mesi dell'anno, il manioco è ra­ro; quanto alla caccia, dipende dalla fortuna, poiché in queste sabbie sterili la magra selvaggina non lascia quasi mai l'ombra della zona delle sorgenti, distanziate fra loro da spazi notevo­li di boscaglia semidesertica. Perciò il piú delle volte la fami­glia dovrà sussistere grazie alla raccolta femminile. Molto spesso abbiamo assistito (talvolta condividendoli) a questi diabolici pasti da bambola che, per metà dell'anno, sono, per i Nambikwara, la sola speranza di non morire di fame.

Quando l'uomo, silenzioso e affaticato, fa ritorno all'accam­pamento e getta da una parte l'arco e le frecce che non ha potuto utilizzare, si estrae dalla gerla della donna una straordinaria e patetica accozzaglia: frutti arancione della palma buriti (e?éru, a1; éit?ande, b1; ?ola, c), due grosse mi­gale velenose (koraísu, a1; kut?nde, b1), minuscole uova di lucertola e alcune lucertole (kat?terisu, a1; nag?de, b1; talí­me, c), un pipistrello, piccole noci di palma bacaiuva (arooke­su, a1; lók?ninde, b1), o uaguassu (aradikisu, a1), un pugno di cavallette (takedasu, a1; tagere, b1; taâki, c). I frutti da polpa sono schiacciati con le mani in una zucca piena     d'ac­qua, le noci sono schiacciate a colpi di pietra, gli animali e le larve sono sepolti alla rinfusa nella cenere; e si divora alle­gramente questo pasto, che non basterebbe a calmare la fame di un bianco, ma che, qui, nutre una famiglia. Le conversazio­ni si animano fra scoppi di risa. Nell'oscura savana, brillano i fuochi di campo. Attorno al fuoco, unica protezione contro il calare del freddo, dietro il fragile paravento di palme e rami frettolosamente piantati nel terreno dalla parte da cui si te­me il vento o la pioggia; vicino alle gerle piene di poveri og­getti che costituiscono tutta una ricchezza terrestre; sdraiati sulla nuda terra che si estende tutt'intorno, frequentata solo da altre bande egualmente ostili e timorose, le coppie, stret­tamente avvinte, si sentono davvero di sostegno reciproco, e di conforto, e di unico soccorso contro le difficoltà quotidiane e la malinconia sognatrice che, di tanto in tanto, invade l'a­nima nambikwara. Il visitatore che, per la prima volta, si accampa nella boscaglia con gli Indiani, si sente preso da an­goscia e da pietà dinanzi allo spettacolo di questa umanità co­sí totalmente sprovveduta; schiacciata, pare, contro il suolo di una terra ostile, da un implacabile cataclisma; nuda, rabbrivi­dente presso fuochi vacillanti. Circola a tentoni fra i cespugli, nell'oscurità, evitando di calpestare una mano, un braccio, un torso, di cui si indovinano i caldi riflessi al chiarore dei fuochi. Ma questa miseria è animata da bisbigli e da risa. Le coppie si stringono come nella nostalgia di un'unità perduta; le carezze, tenere e candide insieme, non si interrompono al passaggio dell'estraneo. Si indovina in tutti una gentilezza immensa, una profonda tranquillità, un'ingenua e incantevole soddisfa­zione animale, e, emanante da tutto ciò, qualcosa come l'e­spressione piú autentica e struggente della tenerezza umana.

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Dalla nascita alla morte*

 

*Il brano è tratto da La vita sociale e familiare degli Indiani Nambikwara (trad. it. di P. Caruso Torino: Einaudi, 1970, pp. 150-158).

 

 

La donna nambikwara partorisce (nascere: talíttige, b1) in posizione accovacciata e appoggiandosi al suolo mediante un bastone verticale a cui si tiene con le due mani; una com­pagna le versa, durante il travaglio, con un piccolo recipiente, acqua fredda sul petto e sul ventre. Il cordone ombelicale vie­ne tagliato netto e cauterizzato con una brace accesa, quindi ricoperto di un impiastro di ceneri calde.

 

47. dósu sa?kédutu ?akedátelusu alósu us?ínked?utu inkétu ?akesá?tutu ire ire iagékediutu (a1).

[Quando] la donna partorisce la placenta nella boscaglia viene sotterrata; lei è malata, non mangia [per] una lu­na, una luna [e poi] mangia di nuovo.

 

Dopo la cerimonia del sotterramento della placenta, quin­di, la donna resterebbe per due mesi colpita da divieto e con­dannata a un relativo digiuno. In realtà, una situazione ecce­zionale si protrae molto piú a lungo, dato che la «covata» vie­ne osservata dal marito e dalla moglie fino al momento in cui il bambino è svezzato, o perlomeno sino al momento in cui cessa di essere alimentato esclusivamente dal latte materno.

Per descrivere lo stato di covata (inkátu, «si è malati», a1) non esiste un termine speciale, la cosa migliore è di trascri­vere le nostre osservazioni fatte giorno per giorno relativa­mente alla famiglia del fuoco 6 composta di A21, a22 e a23. a22 si distingue nettamente dalle sue compagne:

 

1) non porta né decorazioni né ornamenti;

2) non tocca cibo, né per coglierlo, né per raccattarlo, né per prepararlo, né per cuocerlo;

3) non parla con nessuno e nessuno le rivolge parola;

4) evita i gruppi, e quando la curiosità l'attira verso il no­stro cerchio, assiste alle distribuzioni di doni e agli scam­bi solo di lontano e silenziosamente. Se viene dato a lei o a suo marito un dono qualsiasi (per esempio delle per­le) esso viene subito consegnato al neonato;

5) riceve tutti i giorni il suo cibo dalla madre (a18), la qua­le glielo consegna senza una parola, e si occupa anche di certe cure del bambino, come quella di spidoc­chiarlo;

6) non fa bagni nel fiume, ma si lava con acqua che va ad attingere da sola con un recipiente;

7) si assenta talvolta per intere giornate con il marito, e, al­lontanandosi dal villaggio, lo segue di lontano senza una parola; in tali occasioni porta con sé il bambino.

 

A21 si comporta in modo analogo:

 

1) non accompagna il gruppo maschile nelle spedizioni di caccia o nel lavoro di giardinaggio;

2) si assenta solo raramente, e in tal caso con sua moglie. Per il resto, egli rimane disteso senza dedicarsi a nessu­na attività artigianale; lo si dice «malato» (inkâtu);

3) nella misura in cui lui e sua moglie si occupano delle attività piú indispensabili, non esiste fra loro nessuna divisione di lavoro. L'uno o l'altra, indifferentemente, sotterrano gli escrementi del bambino, o mettono fra le ceneri il manioco ricevuto da a22 e da a18, che costitui­sce il loro unico nutrimento. Entrambi sono di una ma­grezza estrema, e appaiono molto deboli; i loro capelli non sono stati tagliati né puliti da molto tempo.

 

Verso il 20 giugno 1938, tale comportamento si modifica; per tre giorni di seguito, A21 e a22 scompaiono per l'intera giornata; probabilmente per cacciare, poiché, dopo alcuni ri­torni infruttuosi arrivano (il 23 giugno alle 15) con la seguen­te selvaggina:

a) un'irara (Mustela sp.);

b) tre pipistrelli;

c) due lucertole con le loro uova.

Irara e pipistrelli sono già stati passati alla fiamma per la bruciatura dei peli. a22 si mette immediatamente - e per la prima volta - a pulire e a grattugiare una piccola quantità di  manioco, e si affretta a disporre una focaccia sotto le ceneri. Vi pone nello stesso tempo le uova di lucertola direttamente rotte; e le toglie appena cotte; le divide subito con il suo bam­bino. Per la prima volta, scambia qualche parola con i vicini ridendo.

Intanto, A2I ha svuotato l'irara. Dà lo stomaco, l'intesti­no grosso e l'intestino tenue a a2 (sorella della moglie); co­stei, aiutata dalla figlia a5, pulisce gli intestini, li mette a cuo­cere e comincia a mangiarli con a5 e a3.

A21 taglia la coda dell'irara, la fa cuocere rapidamente e la mangia con la moglie e il bambino.

I tre pipistrelli sono stati dati ad a2 (sorella della moglie), e ad a14 (sorella), che divide la sua parte con il figlio A16 e con il figliastro A15. a22 fa cuocere le lucertole e le frattaglie (fegato, cuore, polmone, milza, reni dell'irara). Consegna il tutto al marito, che dà un pezzetto di fegato al bambino e di­vide il resto con sua moglie.

Tutte queste operazioni si sono svolte rapidissimamente, con una specie di premura, e terminate in capo a mezz'ora. Al­le 15 e 30, a22 accende un fuoco diverso da quello di cui ogni gruppo familiare si serve, e vi mette sopra l'irara. Va quindi a fare il suo primo bagno di fiume, e torna con un recipiente col­mo d'acqua per lavare il bambino. Verso le 16 e 15, l'irara cotta è tolta dal fuoco da A21. In quel momento, tutti sono ritornati all'accampamento e hanno preso il loro posto abitua­le. A21 e a22, seduti accanto al nuovo fuoco, occupano una posizione centrale. A21 taglia l'irara in cinque pezzi e lo divide tra i membri della famiglia, come abbiamo detto in prece­denza.

Da questo momento in poi, A21 e a22 riprendono la nor­male attività e non si distinguono piú dai loro compagni.

 

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