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Claude Lévi-Strauss: un’officina, una città

Maurizio Del Ninno




1. Un’officina

L’allusione è in parte trasparente: il rinvio è in primo luogo all’attività del fondatore del Laboratoire d’anthropologie sociale. L’importanza di questa istituzione è ben nota ed è stata ampiamente ricordata recentemente . Ma il mio riferimento è a un secondo piano, più modesto e mira a sottolineare piuttosto un riferimento personale, autobiografico: al fatto che, mi sono sempre considerato un «maschietto”, nell’officina di Lévi-Strauss, un apprendista attonito che sta a guardare il capo-officina che smonta le pratiche sociali e i miti che le contornano, rimontando tutto in analisi magistrali . Più precisamente, parlando di Lévi-Strauss e della sua teoria come di un’officina intendo riferirmi al “banco delle chiavi” dell’analisi strutturale, la serie di principi guida che Lévi-Strauss ha enun-ciato soprattutto - ma non solo - in quel manifesto che è Antropologia strutturale..
Ad uso di futuri ‘maschietti’, vorrei ricordare alcuni di questi principi, per altro ben noti, cui non ho mai cessato di fare riferimento.


1.1. Trubekoj e le regole del metodo fonologico

Il primo posto spetta certo ai “quattro principi di Trubeckoj” cui Lévi-Strauss fa riferimento come al punto fondamentale, capace di produrre nelle scienze umane, una “rivoluzione copernicana”. Ecco la formulazione dei principi, così come appare in “L’analisi strutturale in linguistica e in antropologia” .

La fonologia ha, nei confronti delle scienze sociali, lo stesso compito rinnovatore che la fisica nucleare, per esempio, ha avuto per l'insieme delle scienze esatte. In che consiste questa rivoluzione, se cerchiamo di vederla nelle sue implicazioni più generali?  L'illustre maestro della fonologia, N. Trubeckoj, ci darà la risposta a questa domanda.  In un articolo-programma, egli riduce, in sostanza, il metodo fonologico a quattro procedimenti fondamentali: in primo luogo la fonologia passa dallo studio dei fenomeni linguistici coscienti a quello della loro infrastruttura inconscia; rifiuta di considerare i termini come entità indi-pendenti, prendendo invece come base dell'analisi le relazioni tra i termini; introduce la nozione di sistema: «La fonologia attuale non si limita a dichiarare che i fonemi sono sempre membri di un sistema, ma mostra sistemi fonologici concreti e mette in evidenza la loro strut-tura» [Trubeckoj, 1933: p. 243] infine mira alla scoperta di leggi generali, sia trovate per induzione, «sia... dedotte logicamente, il che conferisce loro un carattere assoluto»[Ibidem].
Così per la prima volta una scienza sociale riesce a formulare relazioni necessarie.

Questi principi sono ricordati più volte: in particolare ricorrono in altro saggio, ugualmente importante e ugualmente famoso: la prefazione alle Six leçons sur le son et le sens di Roman Jakobson . Come accennato, l’introduzione di questi principi all’ambito antropologico costituisce quella che Lévi-Strauss presenta come una “révolution copernicienne” .
Dalla costellazione dei principi di Troubeckoj, derivano altri due espansioni che pure vorrei ricordare.


1.2. Le elaborazioni secondarie

In questione c’è l’uso delle pseudo-spiegazioni, o elaborazioni secondarie, cui il ricercatore deve fare attenzione. Lévi-Strauss ne parla a proposito del differente modo di lavorare dello storico e dell’antropologo (1958, trad. it. 1966: 31-32):

La storia organizza i suoi dati in base alle espressioni coscienti, e l'etnologia in base alle condizioni inconscie della vita sociale. [...]. Orbene, è noto che, nelle maggior parte dei popoli primitivi, è difficilissimo ottenere una giustificazione morale, o una spiegazione razionale, di una usanza o di un'istituzione: l'indigeno interrogato si contenta di rispondere che le cose sono sempre state cosí, che quello fu l'ordine degli dei, o l'insegnamento degli ante-nati. Anche quando s’incontrano interpretazioni, queste hanno sempre il carattere di razio-nalizzazioni o di elaborazioni secondarie: non c'è dubbio che le ragioni inconscie per cui si pratica un'usanza, o si condivide una credenza, sono lontanissime da quelle invocate per giustificarla. Anche nella nostra società, le buone maniere a tavola, gli usi sociali, le regole del vestirsi e molti nostri atteggiamenti morali, politici e religiosi sono osservati scrupolo-samente da ciascuno, senza che la loro origine e la loro funzione reali siano state oggetto di ponderato esame. Agiamo e pensiamo per abitudine, e l'inaudita resistenza opposta a dero-ghe, sia pur minime, deriva piú dall'inerzia che da una volontà cosciente di mantenere u-sanze di cui si capisca la ragione [...]. E anche oggi le elaborazioni secondarie, appena for-mulate, tendono ad assumere la stessa espressione inconscia. [...] Spetta a Boas il merito di avere, con straordinaria lucidità, definito la natura inconscia dei fenomeni culturali, in pagine in cui, assimilandoli da questo punto di vista al linguaggio, anticipava lo sviluppo ulteriore del pensiero linguistico, e un avvenire etnologico di cui cominciamo appena a intravedere le promesse.

Pare evidente che la ‘regola’ delle elaborazioni secondarie è in definitiva un’espansione del primo principio di Trubeckoj (“passaggio dallo studio dei fenomeni coscienti a quello della loro infrastruttura inconscia”); è forse opportuno anche sottolineare che essa è in linea e si ricollega ad altri due autori, che Lévi-Strauss annovera come suoi maestri: Marx e Freud.


1.3. Il rapporto comparazione-generalizzazione

C’è ancora un terzo principio cui molti studiosi che si attardano su un approccio induttivo dovrebbero fare attenzione. È anch’esso espansione delle quattro regole di Trubeckoj e anche esso è espresso più volte. Così, a proposito dei principi innovativi della fonologia, Lévi-Strauss (1958: trad. it. 1966: 33) ricorda che Boas, che pure li aveva utilizzato in pieno per fondare la linguistica americana, rivela timidezza nell’applicarli all’etnologia:  

Ma Boas [...] riduce l'estensione delle categorie che paragona, non le costituisce su un nuovo piano; e quando il lavoro di frammentazione gli sembra impossibile, evita di comparare. Eppure ciò che rende legittima la comparazione linguistica è qualcosa di piú, e d'altro, che uno spezzettamento: è un'analisi reale. Dalle parole il linguista estrae la realtà fonetica del fonema; da questo, la realtà logica degli ele-menti differenziali. E quando ha riconosciuto in piú lingue la presenza degli stessi fonemi o l'uso delle stesse coppie di opposizione, non paragona fra di loro esseri in-dividualmente distinti: è lo stesso fo¬nema, lo stesso elemento, a garantire su questo nuovo piano l'identità profonda di oggetti empiricamente diversi. Non si tratta di due fenomeni simili, ma di uno solo. Il passaggio dal cosciente all'inconscio va di pari passo con il progresso dallo speciale al generale. Di conseguenza in etnologia, come in linguistica, non è la comparazione a fondare la generalizzazione, ma il contrario [corsivo mio].

Ovviamente l’elenco delle “chiavi” disponibili nell’officina potrebbe allungarsi e non di poco: ma è opportuno arrestarsi qui. Obiettivo da perseguire in questa sede, infatti, non è tanto l’elencazione delle chiavi, quanto quello di gettare il seme di una futura opera (collettiva) di sistematizzazione. Manca, per Lévi-Strauss, uno strumento quale è stato ed è per la scuola di Parigi, il dizionario Greimas-Courtés.  La necessità di un tale dispositivo del resto è da tempo nell’aria, come mi pare indichino le varie raccolte di citazioni di Lévi-Strauss, apparse sul web in occasione del centenario e anche l’omaggio della lettura dei cento brani effettuata in occasione dei festeggiamenti del centenario. Proprio a tale esigenza, d’altra parte, sembrano rispondere anche Del Ninno (1975) e Maniglier (2002).