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Scrivere le camminate.

Per uno studio etnografico dei modi di camminare *

Maurizio Del Ninno

 

 

 

 

 

Dis-cursus, indica, in origine, il correre qua e là, le mosse, i 'passi', gli “intrighi”. In effetti, l'innamorato non smette mai di correre con la mente, di fare nuovi passi e d'intrigare contro se stesso (R. Barthes, 1977, trad. it. p.5).

 

                        

Acciabattare, aggirarsi qua e là, allentare, rallentare, ritardare il passo, decelerare, allungare, affrettare, accelerare il passo, affrettarsi, ancheggiare, andare a piedi, a spasso, a zonzo, al trotto, di buon trotto, andare intorno, su e giù, arrancare, arrembare, ballonzolare, barcollare, bighellonare, camminare, camminare a zigzag, di buon passo, in fretta, a fatica, a grandi passi, a oca, a passo lento, come in processione, a quattro zampe, a testa alta, adagio, all’indietro, avanti e indietro, carponi, come un’oca, con passo costante, con passo spedito, con piede malfermo, curvo, dritto, gatton gattoni, gattoni, in ginocchio, in fila indiana, in punta di piedi, per due; camminare piano, sghembo, sbilenco, speditamente, sulle uova, caracollare, ciabattare, claudicare, con il cavallo di S. Francesco; ambulare, deambulare, correre, errare, fare due passi, quattro passi, fare una vasca; galoppare, gironzolare, girovagare, incedere, incespicare, inciampare, inciampicare, macinare chilometri, molleggiare, muovere i piedi, muovere le gambe, ondeggiare, passeggiare, pedalare, pedibus calcantibus, peregrinare, procedere, ramingare; saltabeccare, saltellare, sbarellare, scalpicciare, scarpinare, sciabattare, scorrazzare, sculettare, sgambare, sgonnellare, sgranchirsi le gambe, strascicare i piedi, strusciare; tenere, mantenere, perdere il passo; trascinarsi, stronfiare, trottare, trotterellare, uscire di casa, vacillare, vagabondare, vagare, vagolare, zigzagare, zoppicare.[1]

 

Da qualche anno si vanno diffondendo in ambito semiotico studi sulla voce. L’evento mi sembra importante perché comincia ad essere inscritta nella cultura un’area tendenzialmente pensata come naturale. Il senso comune tende infatti a considerare la voce un elemento estremamente individuale, simile alle impronte digitali, iscrivendola dunque nell’ambito biologico. Ma, se non da sempre, almeno a partire dalla lettura delle Six leçons sur le son et le sens di R. Jakobson (1976) ho sempre pensato alla voce come ad un costrutto articolato, piuttosto che come ad un compatto elemento naturale.

Una pari riflessione vorrei aprire e portare avanti circa le “forme di camminata”. Anche se qui il riconoscimento dell'aspetto culturale è fuori discussione, va sottolineato come un ambito di attività così ampiamente analizzato nella lingua riscuota troppo poco l’attenzione degli studiosi delle scienze sociali.

Negli anni sessanta, quando fioriscono i primi studi di cinesica e prossemica,[2] sono ricorrenti accenni ad uno studio semiotico della locomozione ma il campo resta, in definitiva, sostanzialmente inesplorato[3] e si basa soprattutto su riflessioni teoriche precedenti. Il riferimento più generale ed esplicito è quello delle Tecniche del corpo di M. Mauss (1936).[4] Si può, però, risalire più indietro, alla Théorie de la démarche di Honoré de Balzac (1833)[5] o alle osservazioni normative dei manuali del buon comportamento, da Giovanni della Casa in poi.

In anni più recenti a richiamare l’attenzione sulla funzione comunicativa della camminata è soprattutto E. Goffman con la sua nozione di glossa del corpo (1971): i gesti, le posture e le andature dipendono generalmente da una modifica che permetta di informare gli altri sulle proprie intenzioni e di regolare così i rapporti di traffico. Questa idea è stata ripresa da J.-P.Thibaud nel suo saggio sull'uso del walkman in ambiente urbano. L’autore fornisce utili spunti, portando avanti l’idea di una condotta spaziale, in cui la camminata è intesa come una continua interazione con l’altro, che passa attraverso l’articolazione di spazi e presenze, con tattiche di esitamento, accelerazioni, rallentamenti (1994, trad. it. p. 174). In particolare, mi sembra che le condotte di regolazione del volume del walkman - intensità minimale, media, a regolazione continua, a muro sonoro alternativo - così come concetti quali “porta sonora” o “punto–frontiera” possano essere utilmente generalizzabili ai nostri fini.

Ma è bene riprendere il filo principale.

Quello delle camminate mi sembra un tema di attualità, particolarmente fecondo per affrontare sul piano semiotico il discorso sulla gestualità, sfuggendo all’approccio dizionariale per passare ad uno testuale (Fabbri, 1998, pp. 3-33), ma anche per rispondere, sulla lunga distanza, allo spaesamento che Scrivere le culture ha gettato nell’operazione etnografica (Clifford-Marcus 1986).

Se, infatti, come è stato osservato, tale spaesamento è positivo per più versi, d’altro canto mi sembra eccessivo destituire di autorità l’impresa etnografica: per quanto la lettura individuale possa andare dove vuole, frammentarsi in mille rivoli -posso acquistare un libro di fiabe attratto non dalla storia, non dalla bellezza delle illustrazioni, ma solo dalla qualità della carta e dal carattere tipografico che libera in me il “piacere del testo”-, resta il fatto che questa libertà si iscrive entro un sistema di regole.

Un esempio. In “L’avventura” di M. Antonioni,[6] Claudia (Monica Vitti) e Sandro (Gabriele Ferzetti) arrivano in una villa dove è in corso una festa. Accolti dalla padrona di casa, vengono poi guidati da un maggiordomo all’interno della lussuosa residenza, fino alla camera loro assegnata. Lungo il percorso, l’attenzione dello spettatore è attratta dal muoversi ricercato del cameriere. Questa impressione si presenta all’inizio allo spettatore come un’intuizione individuale, ma si rivela poco dopo un “effetto di senso” accuratamente ricercato dalla regia, evidentemente fondato su una competence degli stili di camminata. Appena i due nuovi arrivati restano soli, Monica Vitti, infatti, mima il muoversi del cameriere, rassicurando così lo spettatore che trova confermata la sua impressione di “camminata affettata”. È accertato così che nella nostra cultura esistono dei tratti che permettono di mimare “una camminata affettata di un cameriere” e dunque che sia possibile descriverla con esattezza.[7]

In risposta alle rivendicazioni del postmodernismo, è possibile osservare che se il reale è multiforme e si presta a descrizioni disparate, esistono però letture condivise da una comunità e che sono queste ad essere l’oggetto proprio della descrizione etnografica. Per esprimermi nei termini messi a fuoco da uno strutturalismo oggi in disuso, direi che il problema della descrizione etnografica è stato già affrontato e risolto dai linguisti praghesi quando hanno spostato l'attenzione dai suoni “in carne e ossa” (etic), allo studio delle unità fonematiche (emic).

È mia convinzione che sia quanto mai opportuno tornare ad interrogarsi su quelle unità minime che, dopo aver a lungo aver costituito una sorta di tormentone delle ricerche semiotiche degli anni ’70, sono state troppo velocemente accantonate.

Attualmente, infatti, il ricercatore dispone per descrivere la camminata solo di apparati etic, non focalizzati, e comunque elaborati in ambiti para-semiotici (vedi Koechlin 1968). Evidentemente la costruzione di un sistema di tratti distintivi della camminata è un'operazione molto impegnativa, anche perché in una lettura sensata della locomozione intervengono elementi non immediatamente legati allo spostamento (per esempio, la posizione della testa, della mano o la direzione dello sguardo). Limitandomi ad additare soltanto il problema, in questa sede sarà sufficiente osservare che una descrizione semiotica delle camminate può rilevare dal dibattito linguistico non solo l’idea dei tratti distintivi. Se, infatti, le prime riflessioni parevano soggiacere all'idea di camminata “nazionale”, comunitaria, ricalcando l’accezione ristretta di langue,[8] oggi appare sicuramente più adeguato fare riferimento alla nozione di un repertorio di stili, parallelo alla nozione introdotta in sociolinguistica da D. Hymes (1964). L’idea di un repertorio di camminate, a disposizione dell’utente, che passa dall’una all’altra, a seconda dei contesti sociali, oltre ad una maggiore efficacia descrittiva, ha l’ulteriore vantaggio di rompere con le ricorrenti lettura di tipo psicologico, che tendono a leggere il comportamento somatico in termini di stati affettivi. “Stili” o “forme di camminata” differenti troverebbero quindi la loro espressione in rapporto alla varietà dei “generi di camminata” (funerale, processione, sfilata, passeggiata, marcia di trasferimento, ecc.).

Come accennato sopra, però, è soprattutto l’interesse di un approccio in termini transfrastici, narrativi che appare promettente. Una prima apertura dell’area si deve a L. Marin (1987) che offre un’analisi di spostamenti formalizzati quali parata, corteo e processione ma è evidente che la riflessione può essere riferita anche ai più personali “quattro passi”. Dietro all’articolazione ricorrente di una qualsiasi passeggiata in rapporto ad una meta e ai segmenti di andata e ritorno non è difficile individuare gli enunciati della grammatica narrativa. Verso gli aspetti discorsivi della locomozione, spinge anche il lavoro di J.-F. Augoyard (1979), soprattutto attraverso gli sviluppi che ne ha dato M. De Certeau con i concetti di “enunciazione pedonale” e “retorica podistica” (1990, trad. it. pp.150-158). Confidando anche in questo caso in approfondimenti futuri, addito infine qui anche la possibilità di un approccio agli aspetti patemici, attraverso il magnifico esempio, offerto da Sofia Loren nelle prime sequenze de "La ciociara"[9], quando Cesira (Sofia Loren) lascia la sua bottega per recarsi da Giovanni (Raf Vallone), l’amico carbonaio: in pochi fotogrammi troviamo riunite un’esitante andatura iniziale, in rapporto al disagio per un allontamento sentito come trasgressivo; una camminata pienamente disinvolta non appena la donna, girato l’angolo, si sente libera da possibili controlli; delle movenze sfrontatamente femminili, quando la stessa attraversa uno spazio aperto in prossimità di un gruppo di uomini fermi a parlare; di nuovo un’andatura incerta in prossimità della bottega del carbonaio.

 

Nel concludere questo breve scritto vorrei sottolineare che porre l’attenzione sulla descrizione degli stili di camminata è anche un modo di ribadire la solidarietà tra il fare dell’antropologo e il fare del semiotico, due attività in cui al meglio si inscrive l’attività del destinatore/destinatario di queste pagine.

Ma mi sia permesso indicare anche un altro intento. Nel suo contributo a Un siècle d’arpenteurs. Les Figures de la marche, M. Arras commenta l'affresco di Masaccio della Cappella Brancacci: "Adam et Ève sortent du Paradis. Nus, désespérés, ils font les premiers pas d'une marche qui engage, jusq'au la fin des Temps, l'humanité". La linea sviluppata dall'autore va verso altre direzioni, ma io vorrei prendere a pretestoquesta immagine per mettere in evidenza che, sebbene il carattere etnocentrico dell’evoluzionismo culturale sia stato smascherato da tempo, perdura a molti livelli l’idea di una umanità in marcia dalle sue origini secondo regole dettate dal progresso. Focalizzare l’attenzione sullo studio degli “stili di camminata” vuole essere anche un modo di rompere con questa idea e in definitiva per richiamare l’attenzione sul valore e il rispetto dei multiformi “stili di vita”.

Sono sicuro che Nino Buttitta ne sarà lieto.

 

Riferimenti bibliografici

 

ARRAS Daniel 2000 "La meilleur façon de marcher. Introduction à une histoire de la marche", in Un siècle d’arpenteurs. Les Figures de la marche [catalogo della mostra]), Parigi: Réunion des musées nationaux, pp. 35-61.

AUGOYARD Jean-François 1979 Pas à pas. Essai sur le cheminement en milieu urbain, Parigi, Seuil  (trad. it. Passo a passo, Roma: Edizioni Lavoro 1989).

BALZAC Honoré de 1833 Théorie de la démarche (trad. it. Teoria del camminare, Canargo (Varese): Sugarco 1993).

BARTHES Roland 1977 Fragments d’un discours amoureux, Parigi: Seuil (trad. it. Frammenti di un discorso amoroso, Torino: Einaudi 1977).

CLIFFORD James - George E. MARCUS (a cura di) 1986: Writing Culture: Poetics and Politics of Ethnography, University of California Press (trad. it. Scrivere le culture. Poetiche e politiche in etnografia, Roma: Meltemi 1997).

DE CERTEAU Michel L’Invention du quotidien. I - Art de faire, Parigi: Gallimard 1990 (trad. it. L’ invenzione del quotidiano, Roma: Edizioni Lavoro 2001).

DELLA CASA Giovanni [1551] 1950 Galateo, Milano: Rizzoli.

EVANGELISTI Melissa, 2003 Impronte di donna, Tesi di laurea, Facoltà di Sociologia, Università degli Studi di Urbino, a.a. 2001-2002.

FABBRI Paolo 1997 La svolta semiotica, Roma-Bari: Laterza.

FENU BARBERA Rossana, La donna che cammina. Incanto e mito della seduzione del passo femminile nella poesia italiana del primo Novecento, Ravenna: Longo Editore 2001.

GOFFMAN Ervin, 1971 Relations in Public, Allen Lane, London (trad. it. Relazioni in pubblico, Milano: Bompiani 1981).

GREIMAS Algirdas Julien (a c. di), 1968a "Pratiques et langages gestuels" numero speciale di Langages, 10.

GREIMAS Algirdas Julien 1968b "Conditions d'une sémiotique du monde naturel" in Greimas 1968 a, pp. 3-47 (trad. it. "Per una semiotica del mondo naturale” in Del senso, Milano: Bompiani, 1974, pp.49-64).

HINDE Robert A. (a cura di) 1972 Non-Verbal Communication, Cambridge University Press, Cambridge (trad. it. La comunicazione non-verbale, Bari: Laterza, 1974).

HYMES Dell 1964 "Introduction: Toward Ethnographie of Communication" in American Anthropologist, LXVI, n.6, pagg.13-20 (trad. it. a cura di Pierpaolo Giglioli, "Verso un'etnografia della comunicazione: l'analisi degli eventi comunicativi" in Linguaggio e società, Bologna: Il Mulino, 1973, pp.65-88).

JAKOBSON Roman 1976 Six leçons sur le son et le sens, Parigi: Minuit (trad. it. La linguistica e le scienze dell’uomo. Sei lezioni sul suono e sul senso, Milano: Il Saggiatore 1978).

KOECHLIN Bernard 1968 "A propos de trois sistèmes de notation des position et mouvements des membres du corps humain susceptibles d'interesser l'ethnologue", in Barrau Jacques, Lucien Bernot et al. (a cura di) Langues et Techniques. Nature et sociéte. Tome II, Approche ethnologique et naturaliste, Parigi: Klincksieck, pp. 157-184.

LA BARRE Weston 1964 "Paralinguistica, cinesica e antropologia culturale", in Sebeok-Hayes-Bateson 1964, trad. it. 1970, pp. 279-321.

MARIN Louis 1987 “Notes on a Semiotic Approach to Parade, Cortege, and Procession” in Alessandro Falassi (a cura di) Time out of Time. Essays on the Festival, Albuquerque: University of New Mexico Press, pp. 220-228 (trad. it. di Maria Chiara Ceci, Note su un Approccio semiotico a Parata, Corteo e Processione, multicopiato).

MAUSS Marcel 1936 "Les techniques du corp" in Journal de la psycologie, XXXII, 3-4, poi in Sociologie et anthropologie, 1950, Presses Universitaires de France, Paris (trad. it., "Le tecniche del corpo" in Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi: Torino, 1965, pp. 385-409).

MAUSS Marcel 1947, Manuel d'ethnographie, Parigi: Payot, a c. di D. Paulme, 2 éd. Parigi: Payot 1967 (trad. it. Manuale d’etnografia, Milano: Jaca Book 1969).

MORRIS Desmond 1977 Manwatching - A Field Guide to Human Behaviour, Losanna: Elsevier Publishing Projects SA – London: Jonathan Cape Ldt (trad. it. L'uomo e i suoi gesti. La comunicazione non-verbale nella specie umana, Milano: Mondadori 1983).

SEBEOK Thomas A.– Alfred S. HAYES – Mary Catherine BATESON 1964, Approaches to Semiotics, The Hague:Mouton (trad. it.: Paralinguistica e cinesica, Milano: Bompiani 1970).

THIBAUD Jean Paul 1994 "Les mobilisations de l’auditeur-baladeur. Une sociabilité publicative", in Réseaux, 65, pp.71-83 (trad. it. "Il walkman. Paesaggio sonoro e forme d'interazione" in Andrea Semprini [a cura di] Il senso delle cose. I significati sociali e culturali degli oggetti quotidiani, Milano: Franco Angeli 1999, pp. 170-186).

VIOLI Patrizia 1996 "La spazialità in moto. Per una semantica dei verbi di movimento", Versus, quaderni di semiotica, 73/74, pp. 83-102.

 


* Apparso in Le parole dei giorni. Studi per Nino Buttitta, a cura di Maria Caterina Ruta, Palermo,  Sellerio Editore 2006, volume  secondo, pp. 1033-1040.

[1] Utili osservazioni su questo elenco possono derivare dall'analisi dei verbi di movimento di Violi 1996.

[2] Si vedano Sebeok–Hayes–Bateson 1964 e Ekman–Friesen 1969; e soprattutto Greimas 1968.

[3] Il tema affiora infatti qua e là, ma solo in termini generici. Si veda in particolare il saggio di La Barre (1964, trad. it. pp. 279-321) e le considerazioni sulla locomozione e  quelle sui “segni di legame” in Morris 1977.

[4] Il tema è toccato da Mauss una prima volta presentando la “Nozione di tecnica del corpo”: “Mentre ero degente in un ospedale di New York […] mi chiedevo dove avessi già visto delle signorine che camminavano come le mie infermiere. Avevo tutto il tempo di riflettere. Mi ricordai, infine, che le avevo viste al cinema. Tornato in Francia, notai, soprattutto a Parigi, la frequenza di questa andatura; le ragazze erano francesi e camminavano nello stesso modo. In effetti, grazie al cinema, il modo di camminare americano arrivava anche da noi. Era un’idea suscettibile di generalizzazione” (1936, trad. it. p. 388).

Poco più sotto troviamo un altro esempio: “In un libro di Elsdon Best […] si trova un documento notevole sul modo di camminare della donna maori [… ]. Le donne indigene adottano una specie di “gait” (la parola inglese è deliziosa) che consiste in un dondolamento distaccato e, tuttavia, articolato delle anche, che a noi sembra sgraziato, ma che i Maori ammirano moltissimo. Le madri addestravano (l’autore dice “drill”) le figlie a questo modo di camminare che si chiama onioi” (p. 390).

Più avanti, nella "Enumerazione biografica delle tecniche del corpo", illustrando le “Tecniche dell’attività, del movimento” M. fornisce un abbozzo di tratti pertinenti per la camminata (p. 402: corpo dritto, oscillazione dei pugni, dei gomiti, piedi in fuori, piedi in dentro…). Torna infine (p. 407) a svolgere alcune osservazioni sulla marcia nelle finali “Considerazioni generali”.

Nel Manuale di etnografia (1947) il tema è solo sfiorato. Circa le tecniche di trasporto, egli consiglia di “studiare ogni volta come cammina il portatore, soprattutto quando il suolo è accidentato” (trad. it. p. 71).

[5] Il testo di Balzac ha geniali intuizioni (quella del camminare come il pensiero) e un impianto fondato sull’osservazione partecipante ("Mi risolsi a constatare semplicemente gli effetti prodotti al di fuori dell’uomo dai suoi movimenti, di qualunque natura fossero, di annotarli, di classificarli […]. L’indomani andai dunque a sedermi su una panchina del boulevard de Gand, al fine di studiarvi il modo di camminare di tutti i parigini che, per loro sventura, fossero passati dinanzi a me nel corso della giornata") ma è di fatto retto da un intento normativo (“ricercare le leggi del bello ideale in fatto di movimento, e di redigerne un codice per le persone interessate a dare una buona immagine di sé”); offre soprattutto buone domande (“Trovare il modo di mentire con l’andatura, come i cortigiani, gli ambiziosi, le persone vendicative, i commedianti, le cortigiane, le spose legittime, gli spioni fanno mentire i loro tratti, i loro occhi, le loro voci? [p. 35-36]).

[6] 1959, Produzioni Cinematografiche Europee, Roma – Société Cinématographique Lyre, Parigi; 140 min.

[7] Un’ulteriore conferma viene dal film Il dormiglione di Woody Allen (titolo originale: “Sleeper”, 1973: durata 88') dove W. Allen, alias Mike Monroe, si finge robot-maggiordomo e si muove proprio secondo i caratteri sopracitati.

[8] Vedi ad esempio le osservazioni di La Barre: "Esistono stili di camminata indotti dalla cultura. Durante l'ultima guerra, in Birmania, persone pratiche potevano individuare la diversità della camminata fra Shan delle pianure (con le braccia che oscillano su piani paralleli rispetto al piano sagittale del corpo) e Kachin degli altopiani e la camminata dei Palaung (con le braccia che oscillano su archi volti obliquamente, verso il corpo). Secondo le mie osservazioni i bengalesi differiscono notevolmente nel modo di camminare (tutto gomiti e ginocchia, con un notevole sollevamento del piede), dagli abitanti del Pangiab (maggiore rigidità e verticalità alla maniera delle marionette" (p. 285-86). L'autore fornisce descrizioni di camminate "nazionali" per quasi due pagine.

[9] Il riferimento è alla sequenza iniziale de La ciociara, film di Vittorio De Sica, interpretato da Sophia Loren, Jean-Paul Belmondo, Eleonora Brown e Raf Vallone; dal romanzo omonimo di A. Moravia, riduzione e sceneggiatura di Cesare Zavattini; musiche di Armando Travajoli. 1960, B/N, m. 97. La scelta di questo esempio è anche dovuto al fatto che il fascino e la maestria di Sofia Loren permettono di introdurre il riferimento a La donna che cammina. Incanto e mito della seduzione del passo femminile (Fenu Barbera, 2001) e, per questa via, al tema del camminare in letteratura Per un altro esempio significativo vedi la trasformazione della camminata di Mara (Claudia Cardinale) nel film “La ragazza di Bube” di Luigi Comencini (1963), al suo primo incontro con Bube descritta da Evangelisti (2003, pp. 116-117).