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Floch e il suo Lévi-Strauss*

Francesco Marsciani

 

 

Le poche righe che seguono non vogliono essere altro che un omaggio alla memoria di Jean-Marie Floch, il collega e l'amico a cui sento di dovere una parte davvero considerevole del senso che attribuisco al mio lavoro. So che è così per molti dei suoi colleghi ed amici; lo so perché non cessiamo di testimoniarcelo e anche perché qualcosa nella personalità di Floch fa sì che non possa essere diversamente, faceva sì che non potesse essere diversamente. Il lavoro di Floch, i suoi saggi, le sue ricerche, così come i suoi contributi alla discussione, le sue risposte, i suoi interventi, ci aiutavano, tutti, a comprendere meglio il senso del nostro lavoro, a dare ad esso una dimensione più giusta, più vera, al contempo più lucida e più efficace. Dipendeva, mi sembra, dal suo modo di organizzare le idee, dalla consequenzialità con cui le disponeva e con cui le rendeva necessarie l'una per l'altra, dalla esplicitezza con cui ne giustificava le ragioni e i fini, l'orientamento, la pertinenza. Nei suoi lavori questo effetto emergeva dalla scrittura, dalla sua prosa così piana e leggera e nello stesso tempo sicura e ferma. La sua era una scrittura "risultante'', una scrittura cioé dove si manifestavano i risultati del lavoro, la risultante finale degli appunti, delle prove, degli abbozzi, dei tentativi e nella quale quegli appunti e quegli abbozzi si sviluppavano precisamente per quel che erano stati: tessere di un mosaico sistematico, momenti di un percorso già impregnato, fin dall'inizio, di ordine e orientamento, impostato da subito sulla base di una visée di spiegazione che mordeva, come si dice, sulla realtà. Cose da spiegare, cose da illustrare, da rendere comprensibili o da svelare, e una scrittura capace di spianare il terreno dei percorsi compiuti, del lavoro meticoloso, in una serie di quadri sempre limpidi, sempre luminosi, aperti e, verrebbe da dire, sinceri.

 

La sistematicità diventa in Floch un'istanza irrinunciabile, quell'idea profondamente strutturale che prevede e richiede che i campi di indagine e gli oggetti debbano apparire alla fine, per la loro stessa intelligibilità, luoghi sistematici in cui "tout se tient", in cui i pezzi (le tessere di quel mosaico) vanno a combaciare per quello sguardo che ne reclama il senso e che, nel farlo, ne scopre le forme di organizzazione.

 

Confesso il conforto che mi ha sempre procurato questa permanenza di strutturalismo pur nei percorsi intricati e avventurosi delle ricerche semiotiche recenti, quelle apparentemente "extra-testuali" che il lavoro di Floch aveva contribuito così profondamente a scoprire e promuovere. Mi ha sempre confortato il ritrovare, nelle pagine di Floch, quella forma di pensiero che si vuole capace, ordinatore, perspicace e per questo forte, un pensiero propriamente strutturato, a vocazione scientifica; un pensiero che punta sulla sistematicità degli esiti come scoperta delle relazioni che fanno di un fenomeno un fenomeno sensato, sistematicità che a partire dal metodo e dalla concettualità teorica è capace di investire, informare e restituire la complessità variabile dell'oggetto in questione, del problema in esame, della pratica osservata.

 

Poco incline a lasciarsi trasportare dalle onde sulle derive delle "novità'' (poco incline alle mode, ai fenomeni di successo, alle polemiche astratte) egli era tuttavia uno dei più capaci di mettersi in viaggio e dal largo delle sue navigazioni, come ebbe a inventare, lanciare messaggi "ai semiologi della terraferma", ai quali sapeva proporre e imporre mode, successi e concretezze come fenomeni da studiare, anziché subire, come effetti di senso meritevoli di attenzione e di competenze specifiche. Un atteggiamento da antropologo, da curioso della varietà dei fatti umani, ma da antropologo che crede in una forma, per così dire, comunicabile del proprio esplorare, che non smette di credere insomma nel valore irrinunciabile rappresentato dai tentativi, collettivi, di costruzione di un linguaggio adeguato al dialogo, al confronto, allo scambio delle ipotesi come dei risultati. Era questa la semiotica per Floch,quella teoria della significazione in cui si realizzava precisamente questo sforzo di costruzione di un terreno comune, o quantomeno comunicabile, di razionalità descrittiva, in vista di tutte le indagini possibili sui fenomeni di senso e sulle forme simboliche delle culture.

È probabilmente questo nodo strettissimo tra la curiosità per le più svariate variazioni del senso e l'esigenza di un metodo teoricamente fondato che permetta una valutazione decente degli esiti delle ricerche, che fece di Lévi-Strauss un autore centrale tra i riferimenti di Jean-Marie Floch, l'autore forse più amato, più presente e coltivato tra tutti i maestri che Floch si riconosceva.

Lévi-Strauss è sempre presente nei lavori di Floch, quasi sempre con citazioni esplicite, con idee riprese, con suggerimenti accolti, ma sempre in ogni caso sullo sfondo, come spirito guida se così si può dire, conce modello da cari trarre ispirazione e rigore. Lo ricordiamo bene tutti, fin dal titolo del suo primo volume che riprendeva l'intento di esplorare "mitologie", per quanto piccole secondo quel vezzo di gusto così tipico dello sguardo semiotico che si vuole modestamente applicato a casi quotidiani, a fenomeni colturali diffusi e che sa tuttavia che non vi è soluzione di continuità tra mitemi interculturali e miti del vivere presente, tra le grandi formazioni culturali che informano antropologicamente le culture del mondo e la vita di tutti i giorni che di ora in ora dipana per noi le articolazioni del senso; "piccole mitologie" che percorrono e organizzano lo spazio che si stende tra il visibile e lo spirito, per uno spirito che in semiotica si risolve per lo più nello scorrere in parallelo di valori sensibili e di valori intelligibili.

È la fase della scoperta del semi-simbolismo, di quel modello di correlazione che si sposa con, e sviluppa anzi, la contrastività dei miti ricostruiti dal Lévi-Strauss delle Mythologiques.  La logica soggiacente, retta da una stabilità strutturale che deve poter essere ricostruita, regola, in quanto logica, i contrasti più o meno paradossali delle forme del mondo e informa così una significatività concreta in cui le figure si presentano insieme ai valori di cui sono impregnate.


* * Relazione presentata al convegno "Bricolage e significazione, Jean-Marie Floch: pratiche descrittive e riflessione teorica", a cura di Giulia Ceriani e Gianfranco Marrone, 21 e 22 luglio 2007, Università degli studi di Urbino.