Il crocevia del territorio scientifico occupato con notevole profitto nel secolo appena trascorso dall’Antropologia e dalla Semiotica è stato determinato dall’incontro della Linguistica e della Logica: un incontro che ha avuto come protagonisti Claude Lévi-Strauss e Julien Algirdas Greimas. Rispetto alla Linguistica quella dell’Antropologia è stata una riscoperta (basti pensare a Boas, Sapir, Whorf); l’attenzione per la Logica, come studio delle procedure del pensiero, quanto meno da Aristotele in poi ha inquietato l’intero arco delle scienze speculative e sociali dell’Occidente.
Il centro dell’interesse è stato quanto possiamo chiamare narratologia che, a ben riflettere a partire dalla Scuola finnica, da Axel Olrik, dai Formalisti russi, con più o meno consapevolezza è stato il problema al quale si è invano cercato di dare soluzione scientificamente persuasiva.
È vero, come abbiamo appreso da Sapir, che non siamo noi a pensare ma i nostri modelli culturali pensano noi, o, come con più efficacia diceva Barthes, non siamo noi a parlare la lingua ma la lingua parla noi. È ancora più vero, tuttavia, che nulla è più pernicioso alla nostra intelligenza dell’affermarsi dei nostri interessi e opinioni come mode culturali. Per fortuna oggi né la Antropologia né la Semiotica sono più di moda. Possiamo dunque ripensarne serenamente e criticamente le loro ricerche nell’ambito dello studio della narrativa, soprattutto ridiscutendo quanto sostenuto da Claude Lévi-Strauss e Julien Algirdas Greimas. È da Propp che dobbiamo comunque partire.