Mariti e mogli*
*Il brano è tratto da La vita sociale e familiare degli Indiani Nambikwara (trad. it. di P. Caruso Torino: Einaudi, 1970, pp. 81-90).
Per capire bene l'atteggiamento reciproco dei due sessi, è indispensabile tener presente il carattere fondamentale della coppia fra i Nambikwara; essa è l'unità economica e psicologica per eccellenza. Non solo fra queste bande erranti, che si compongono e si disfano di continuo, la coppia appare come la sola realtà stabile (almeno in teoria), ma è anche il solo fattore che permette di assicurare la sussistenza dei suoi membri. I Nambikwara vivono sotto due economie: un'economia di cacciatori e di giardinieri, e, d'altra parte, un'economia di raccoglitori e di raccattatori. La prima è assicurata dall'uomo, la seconda dalla donna. Mentre il gruppo maschile parte a caccia per un'intera giornata, armato di archi e di frecce, o si reca a lavorare negli orti durante la stagione delle piogge, le donne, munite di bastone da scavo, errano con i bambini per la savana, e raccolgono, sradicano, ammazzano, catturano, afferrano tutto quello che lungo la loro strada è adatto a servire da nutrimento: semi, frutta, bacche, radici, tubercoli, uova, animaletti di ogni sorta. Alla fine della giornata, la coppia si riunisce intorno al fuoco. Quando il manioco è maturo, e finché ne rimane, l'uomo procura un fardello di radici che la donna grattugia e spreme per farne focacce (uridnosu, a1), e quando la caccia è stata fruttuosa, si cuociono rapidamente pezzi di selvaggina seppellendola fra le braci del fuoco familiare. Ma per sette mesi dell'anno, il manioco è raro; quanto alla caccia, dipende dalla fortuna, poiché in queste sabbie sterili la magra selvaggina non lascia quasi mai l'ombra della zona delle sorgenti, distanziate fra loro da spazi notevoli di boscaglia semidesertica. Perciò il piú delle volte la famiglia dovrà sussistere grazie alla raccolta femminile. Molto spesso abbiamo assistito (talvolta condividendoli) a questi diabolici pasti da bambola che, per metà dell'anno, sono, per i Nambikwara, la sola speranza di non morire di fame.
Quando l'uomo, silenzioso e affaticato, fa ritorno all'accampamento e getta da una parte l'arco e le frecce che non ha potuto utilizzare, si estrae dalla gerla della donna una straordinaria e patetica accozzaglia: frutti arancione della palma buriti (e?éru, a1; éit?ande, b1; ?ola, c), due grosse migale velenose (koraísu, a1; kut?nde, b1), minuscole uova di lucertola e alcune lucertole (kat?terisu, a1; nag?de, b1; talíme, c), un pipistrello, piccole noci di palma bacaiuva (arookesu, a1; lók?ninde, b1), o uaguassu (aradikisu, a1), un pugno di cavallette (takedasu, a1; tagere, b1; taâki, c). I frutti da polpa sono schiacciati con le mani in una zucca piena d'acqua, le noci sono schiacciate a colpi di pietra, gli animali e le larve sono sepolti alla rinfusa nella cenere; e si divora allegramente questo pasto, che non basterebbe a calmare la fame di un bianco, ma che, qui, nutre una famiglia. Le conversazioni si animano fra scoppi di risa. Nell'oscura savana, brillano i fuochi di campo. Attorno al fuoco, unica protezione contro il calare del freddo, dietro il fragile paravento di palme e rami frettolosamente piantati nel terreno dalla parte da cui si teme il vento o la pioggia; vicino alle gerle piene di poveri oggetti che costituiscono tutta una ricchezza terrestre; sdraiati sulla nuda terra che si estende tutt'intorno, frequentata solo da altre bande egualmente ostili e timorose, le coppie, strettamente avvinte, si sentono davvero di sostegno reciproco, e di conforto, e di unico soccorso contro le difficoltà quotidiane e la malinconia sognatrice che, di tanto in tanto, invade l'anima nambikwara. Il visitatore che, per la prima volta, si accampa nella boscaglia con gli Indiani, si sente preso da angoscia e da pietà dinanzi allo spettacolo di questa umanità cosí totalmente sprovveduta; schiacciata, pare, contro il suolo di una terra ostile, da un implacabile cataclisma; nuda, rabbrividente presso fuochi vacillanti. Circola a tentoni fra i cespugli, nell'oscurità, evitando di calpestare una mano, un braccio, un torso, di cui si indovinano i caldi riflessi al chiarore dei fuochi. Ma questa miseria è animata da bisbigli e da risa. Le coppie si stringono come nella nostalgia di un'unità perduta; le carezze, tenere e candide insieme, non si interrompono al passaggio dell'estraneo. Si indovina in tutti una gentilezza immensa, una profonda tranquillità, un'ingenua e incantevole soddisfazione animale, e, emanante da tutto ciò, qualcosa come l'espressione piú autentica e struggente della tenerezza umana.
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Dalla nascita alla morte*
*Il brano è tratto da La vita sociale e familiare degli Indiani Nambikwara (trad. it. di P. Caruso Torino: Einaudi, 1970, pp. 150-158).
La donna nambikwara partorisce (nascere: talíttige, b1) in posizione accovacciata e appoggiandosi al suolo mediante un bastone verticale a cui si tiene con le due mani; una compagna le versa, durante il travaglio, con un piccolo recipiente, acqua fredda sul petto e sul ventre. Il cordone ombelicale viene tagliato netto e cauterizzato con una brace accesa, quindi ricoperto di un impiastro di ceneri calde.
47. dósu sa?kédutu ?akedátelusu alósu us?ínked?utu inkétu ?akesá?tutu ire ire iagékediutu (a1).
[Quando] la donna partorisce la placenta nella boscaglia viene sotterrata; lei è malata, non mangia [per] una luna, una luna [e poi] mangia di nuovo.
Dopo la cerimonia del sotterramento della placenta, quindi, la donna resterebbe per due mesi colpita da divieto e condannata a un relativo digiuno. In realtà, una situazione eccezionale si protrae molto piú a lungo, dato che la «covata» viene osservata dal marito e dalla moglie fino al momento in cui il bambino è svezzato, o perlomeno sino al momento in cui cessa di essere alimentato esclusivamente dal latte materno.
Per descrivere lo stato di covata (inkátu, «si è malati», a1) non esiste un termine speciale, la cosa migliore è di trascrivere le nostre osservazioni fatte giorno per giorno relativamente alla famiglia del fuoco 6 composta di A21, a22 e a23. a22 si distingue nettamente dalle sue compagne:
1) non porta né decorazioni né ornamenti;
2) non tocca cibo, né per coglierlo, né per raccattarlo, né per prepararlo, né per cuocerlo;
3) non parla con nessuno e nessuno le rivolge parola;
4) evita i gruppi, e quando la curiosità l'attira verso il nostro cerchio, assiste alle distribuzioni di doni e agli scambi solo di lontano e silenziosamente. Se viene dato a lei o a suo marito un dono qualsiasi (per esempio delle perle) esso viene subito consegnato al neonato;
5) riceve tutti i giorni il suo cibo dalla madre (a18), la quale glielo consegna senza una parola, e si occupa anche di certe cure del bambino, come quella di spidocchiarlo;
6) non fa bagni nel fiume, ma si lava con acqua che va ad attingere da sola con un recipiente;
7) si assenta talvolta per intere giornate con il marito, e, allontanandosi dal villaggio, lo segue di lontano senza una parola; in tali occasioni porta con sé il bambino.
A21 si comporta in modo analogo:
1) non accompagna il gruppo maschile nelle spedizioni di caccia o nel lavoro di giardinaggio;
2) si assenta solo raramente, e in tal caso con sua moglie. Per il resto, egli rimane disteso senza dedicarsi a nessuna attività artigianale; lo si dice «malato» (inkâtu);
3) nella misura in cui lui e sua moglie si occupano delle attività piú indispensabili, non esiste fra loro nessuna divisione di lavoro. L'uno o l'altra, indifferentemente, sotterrano gli escrementi del bambino, o mettono fra le ceneri il manioco ricevuto da a22 e da a18, che costituisce il loro unico nutrimento. Entrambi sono di una magrezza estrema, e appaiono molto deboli; i loro capelli non sono stati tagliati né puliti da molto tempo.
Verso il 20 giugno 1938, tale comportamento si modifica; per tre giorni di seguito, A21 e a22 scompaiono per l'intera giornata; probabilmente per cacciare, poiché, dopo alcuni ritorni infruttuosi arrivano (il 23 giugno alle 15) con la seguente selvaggina:
a) un'irara (Mustela sp.);
b) tre pipistrelli;
c) due lucertole con le loro uova.
Irara e pipistrelli sono già stati passati alla fiamma per la bruciatura dei peli. a22 si mette immediatamente - e per la prima volta - a pulire e a grattugiare una piccola quantità di manioco, e si affretta a disporre una focaccia sotto le ceneri. Vi pone nello stesso tempo le uova di lucertola direttamente rotte; e le toglie appena cotte; le divide subito con il suo bambino. Per la prima volta, scambia qualche parola con i vicini ridendo.
Intanto, A2I ha svuotato l'irara. Dà lo stomaco, l'intestino grosso e l'intestino tenue a a2 (sorella della moglie); costei, aiutata dalla figlia a5, pulisce gli intestini, li mette a cuocere e comincia a mangiarli con a5 e a3.
A21 taglia la coda dell'irara, la fa cuocere rapidamente e la mangia con la moglie e il bambino.
I tre pipistrelli sono stati dati ad a2 (sorella della moglie), e ad a14 (sorella), che divide la sua parte con il figlio A16 e con il figliastro A15. a22 fa cuocere le lucertole e le frattaglie (fegato, cuore, polmone, milza, reni dell'irara). Consegna il tutto al marito, che dà un pezzetto di fegato al bambino e divide il resto con sua moglie.
Tutte queste operazioni si sono svolte rapidissimamente, con una specie di premura, e terminate in capo a mezz'ora. Alle 15 e 30, a22 accende un fuoco diverso da quello di cui ogni gruppo familiare si serve, e vi mette sopra l'irara. Va quindi a fare il suo primo bagno di fiume, e torna con un recipiente colmo d'acqua per lavare il bambino. Verso le 16 e 15, l'irara cotta è tolta dal fuoco da A21. In quel momento, tutti sono ritornati all'accampamento e hanno preso il loro posto abituale. A21 e a22, seduti accanto al nuovo fuoco, occupano una posizione centrale. A21 taglia l'irara in cinque pezzi e lo divide tra i membri della famiglia, come abbiamo detto in precedenza.
Da questo momento in poi, A21 e a22 riprendono la normale attività e non si distinguono piú dai loro compagni.
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