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Stutturalismo ed ecologia

Claude Lévi-Strauss





Peu avant sa mort, je demandai à Jakobson ce qui se faisait de bien, ces derniers temps, dans le domaine du structuralisme. Sans ciller, il se tourna vers moi en pointant son index et me dit d’une voix de stentor: « Lis Lévi-Strauss ». Il était sous l’emprise  de « structuralisme et écologie » qu’il tenait pour l’un de plus beaux textes de Lévi-Strauss.
(S. Rudy, « Jakobson et Lévi-Strauss à New York (1941-1945)… », in M. Izard (a c. di) Claude Lévi-Strauss, Paris, L’Herne, 2004).



[...]

     L' antropologia è in primo luogo una scienza empirica. Ogni cultura rappresenta un unicum a cui va consacrata la piú minuta attenzione per poterla descrivere innanzitutto, e cercare di capirla poi. Solo questo esame può rivelare quali sono i fatti, e i criteri (variabili dall'una all'altra cultura) in base ai quali ognuna sceglie certe specie animali o vegetali, certe sostanze minerali, certi astri o altri fenomeni naturali, per attribuire loro un significato e disporre in forma logica un insieme finito di elementi. Lo studio empirico condiziona l'accesso alla struttura: infatti, ove avvenga che elementi identici siano stati ritenuti da due culture distinte, l'esperienza prova che ciò può essere avvenuto per ragioni differenti, e che inversamente elementi diversi adempiono talora alla stessa funzione. Ogni cultura elegge a tratti distintivi soltanto alcuni tra gli aspetti del suo ambiente naturale, ma nessuno può predire quali o a quale fine. Inoltre, i materiali greggi che l'ambiente naturale offre all'osservazione ed alla riflessione sono ad un tempo cosí ricchi e cosí svariati che, di tutte queste possibilità, la mente non può captarne che una frazione, e se ne serve per elaborare un sistema entro un'infinità di altri, tutti ugualmente concepibili; nulla ne predestina uno qualsiasi per una sorte privilegiata.
     Ci si imbatte insomma fin dall'inizio in un fattore arbitrario da cui risultano difficoltà che l'esperienza sola può risolvere. Eppure, per quanto arbitraria possa apparire la scelta degli elementi, essi si organizzano in un sistema, e i rapporti che li legano formano insiemi coerenti. In La pensée sauvage ho scritto che «i principî di una classificazione non debbono mai essere postulati: soltanto la ricerca etnografica, cioè l'esperienza, può scoprirli a posteriori»  (trad. it. p. 71). In compenso, la coerenza di ogni sistema di classificazione dipende fortemente dai vincoli insiti nel funzionamento del pensiero. Questi vincoli orientano la formazione dei simboli, e spiegano come questi si oppongano e si articolino fra di loro.
     L'osservazione etnografica non ci obbliga dunque a scegliere fra due ipotesi: quella di uno spirito plastico, passivamente modellato da influenze esterne, e quella di leggi psicologiche, universali perché innate, che generano dappertutto gli stessi effetti, mentre la storia e le peculiarità dell'ambiente non avrebbero alcuna funzione. Ciò che noi osserviamo, e dobbiamo cercare di descrivere, sono piuttosto i tentativi intesi a realizzare una specie di compromesso tra, da una parte, certi orientamenti storici e certe proprietà dell'ambiente, e dall'altra, le esigenze mentali che, in ogni epoca, prolungano quelle della stessa natura che le hanno precedute in passato. Integrandosi mutuamente, questi due ordini di realtà si fondono fra loro, dando luogo solo allora ad un insieme significativo.
     Questa concezione non ha niente di hegeliano. I vincoli dello spirito a cui mi riferisco vengono scoperti grazie ad un processo induttivo; non saltano fuori chissà di dove per le cure di qualche filosofo che, nel migliore dei casi, si sarà accontentato di una rassegna sommaria, limitata ad una piccola parte del globo ed a qualche secolo della storia delle idee. Noi stessi ci astringiamo a pazienti ricerche sui modi in cui, per vie simili o diverse, questi vincoli si ripercuotono nelle ideologie di decine o centinaia di società. Ancora: non riteniamo questi vincoli acquisiti per tutti i tempi avvenire, e non li scambiamo per chiavi che, alla maniera degli psicanalisti, permettano ormai di aprire tutte le serrature. Preferiamo lasciarci guidare dai linguisti: essi sanno che le grammatiche di tutte le lingue del mondo hanno proprietà comuni, e sperano, presto o tardi, di riuscire a toccare gli universali del linguaggio: ma sono consapevoli che il sistema logico formato da questi universali sarà piú povero di qualsiasi grammatica particolare, e mai la potrà sostituire. I linguisti sanno anche che lo studio del linguaggio in generale, e quello di ognuna delle lingue che sono esistite o ancora esistono, costituiscono compiti letteralmente interminabili, e che nessun corpo finito di regole ne potrà esaurire tutte le proprietà. Anche ammettendo che questi universali siano un giorno svelati, si presenteranno sempre come strutture aperte: lasceranno sempre lo spazio per nuove definizioni, e si dovranno completare, sviluppare o rettificare quelle che già vi figuravano.
     Da queste considerazioni si ricava che nella vita delle società sono simultaneamente all'opera due tipi di determinismo. Non deve dunque stupire che, essendo essi di nature diverse, ognuno appaia arbitrario dal punto di vista dell'altro. Dietro ogni edificio ideologico si profilano edifici piú antichi, che continuano a ripercuotere echi la cui origine risale fino al momento in cui, centinaia di migliaia di anni fa, e forse piú, una umanità ancora balbuziente concepí e formulò i suoi primi miti. Ed è altrettanto vero che ad ogni stadio di questo complesso sviluppo, le condizioni tecnologiche ed economiche prevalenti in ogni tempo e luogo esercitano sull'ideologia un potere d'attrazione; la distorcono e deformano in molti modi. Se anche i vari modi in cui lo spirito umano funziona in società diverse - e, per ciascuna, in momenti diversi della sua storia - presuppongono un'attrezzatura comune, questo macchinario mentale non funziona certo a vuoto. Le sue rotelle ingranano con altre rotelle; l'osservazione non può mai svelare la quota che spetta a ciascuna: constatiamo solo gli effetti di questa interazione.
     Queste opinioni, che non hanno nulla di filosofico, ci vengono imposte dalla pratica etnografica piú concreta, e davanti ad ogni problema particolare. Cercherò di dimostrarlo con esempi tratti dall'analisi dei miti su cui lavoro da piú di vent'anni.

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* « Strutturalismo ed ecologia » è la versione italiana della Gildersleeve lecture tenuta da C. Lévi-Strauss il 28 marzo 1972 presso il Barnard College di New York. Il testo è apparso la prima volta in  Barnard Alumnae, Spring 1972: 6-14; è stato poi ripubblicato in Social Sciences Informations 12 (1), 1973, tradotto in italiano da F. Maiello, «Strutturalismo ed ecologia», in Culture, 1, luglio 1977: 12-19 e infine tradotto dall’autore e ripubblicato in Le Regard éloigné, Paris, Plon, 1983:143-166 (trad. it. 1984).